La censura social a Trump è davvero un fattore positivo?

Luca Viscardi10 Gennaio 2021
La censura social a Trump è davvero un fattore positivo?

In questi giorni stiamo assistendo alle reazioni delle diverse piattaforme social ai fatti americani di qualche giorno fa, quando un gruppo di facinorosi ha assalito il colle del Campidoglio, una vera e propria censura dei social media nei confronti di Donald Trump

Le diverse piattaforme hanno bandito gli account personali del presidente americano, accusato di aver incitato all’odio, direttamente o indirettamente, causando la reazione delle persone che si sono poi rese protagoniste degli assalti al centro delle discussioni di questi giorni.

La reazione emotiva generale, quantomeno di una vasta maggioranza di persone da quanto si legge nei sondaggi e dai sentiment rilevati sulla rete, è stata positiva, con un plauso generalizzato alla immediata capacità di reagire e prendere decisioni dei vari Twitter, Facebook, YouTube, Snapchat.

Nelle ultime ore abbiamo scoperto che il blocco all’accesso online verrà invece riservato ad un’applicazione che fa riferimento a gruppi di estrema destra, il cui nome è Parler: Google la già eliminata dal suo Play Store, Apple l’ha tolta dall’App Store, Amazon web services ha appena comunicato che dalla giornata di oggi l’applicazione non potrà più usare i suoi servizi di cloud.

censura trump

Anche in questo caso, molti si sono spesi nell’esternare apprezzamenti per la decisione di rimuovere l’applicazione da tutte le piattaforme su smartphone, rendendo di fatto impossibile l’utilizzo dell’App ora che vengono meno anche i servizi di cloud. Non è censura nei confronti di Trump, ma si blocca lo strumento che viene usato dai suoi simpatizzanti più estremi per comunicare tra loro.

In poche parole, non si potrà più scaricare l’app, ma coloro che l’hanno già fatto non vi potranno più accedere perché manca il motore alle sue spalle per farla funzionare. Questo problema non si può nemmeno a girare, perché rimuovendo l’applicazione dagli Store non si potrà aggiornare.

I passaggi di questi giorni ci hanno dato chiara evidenza del fatto che, volendo, tutti i soggetti che oggi offrono una finestra sul mondo, con l’accesso a piattaforme con miliardi di utenti, possono esercitare un controllo immediato e molto efficace sui contenuti che distribuiscono.

Questo apre degli interrogativi pesanti sul perché in passato, invece, non ci sia stata una velocità simile nell’intervenire su altri argomenti, ma credo che apra ancor di più la discussione su quanto possa essere considerato legittimo che il censore sia un soggetto privato.

La censura social a Trump è davvero un fattore positivo?
Mark Zuckerberg, Facebook

Ovviamente, chi si occupa di questioni legali, senza particolari difficoltà, potrà dire che quando entriamo in una applicazione sottoscriviamo dei termini di utilizzo, con una precisa policy che riguarda i contenuti.

Quando quei termini vengono violati, i possessori o gestori delle piattaforme hanno pieno titolo per sospendere un account e impedirne l’utilizzo.

Fino a qui tutto bene: ma quando il soggetto al centro di queste discussioni è il presidente di una grande nazione con un incarico istituzionale importante, ma anche quando è un attivista di estrema destra o di estrema sinistra che esprime le proprie idee, può essere un privato colui che decide se il messaggio può essere trasmesso oppure no?

Io su questo ho grandissimi dubbi, perché le stesse piattaforme che oggi si ergono a difensori dell’ordine civile, fino a qualche giorno fa hanno fatto finta di non vedere montagne di letame che venivano distribuite attraverso i loro canali, creando disinformazione, confusione, in alcuni casi anche inducendo a comportamenti errati, come nel contesto della pandemia.

La censura di Trump è un passo tardivo, rispetto al lavoro di disinformazione perpetrato dalle stesse piattaforme, che oggi fanno del moralismo.

La censura social a Trump è davvero un fattore positivo?
Jack Dorsey, Twitter

Solo che, in molti di quei casi, le campagne erano a pagamento, il momento era propizio per intensificare i propri guadagni, che alla fine derivano dalla pubblicità, chiudere i rubinetti avrebbe comportato un ingente perdita economica.

Pur trovando deprecabile il presidente degli Stati Uniti e i suoi toni, sui contenuti non mi esprimo perché ognuno è libero di dire quello che vuole, trovo che si sia intrapresa una strada pericolosa lasciando ad alcuni miliardari californiani l’opzione di scegliere ciò che può essere diffuso e ciò che invece va filtrato.

Perché parliamo di un manipolo di pochissime persone, uno sparuto gruppo in grado di modificare e di orientare l’opinione di miliardi di persone nel mondo. Certo, si potrebbe obiettare che la loro capacità imprenditoriale è proporzionalmente avanti anni luce rispetto alla lucidità di molti soggetti politici, ma il tema non va comunque sottovalutato.

Forse dobbiamo pensare ad un organo di controllo superiore, oltreché super partes, che sia oltre modo competente, in grado di regolare con una tempestività assoluta, ma anche con una capacità di giudizio altissima, ciò che va censurato e ciò che invece non merita il blocco.

Sempre che oggi abbia ancora un senso parlare di censura, che sia nei confronti di Trump o di qualunque altro argomento.


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