Siamo stati tra i primi a parlarvi di Stop Hate for Profit, la clamorosa protesta anti Facebook che sta galoppando in queste settimane.
Un fenomeno inimmaginabile, che ha fatto bruciare in soli due giorni 60 miliardi di valore all’azienda guidata da Mark Zuckerberg, che forse questa volta ha peccato di eccessiva ostinazione nella gestione del controverso tema della discriminazione razziale e del cosiddetto “hate speech”.
All’inizio del fine settimana vi avevamo segnalato come Coca-Cola, Verizon e Honda fossero tra le numerose aziende che avevano sospeso gli investimenti su Facebook e sulle altre piattaforme del gruppo, ma oggi il numero è cresciuto con l’inclusione di Starbucks, Pepsi, Diageo e Unilever.
Già venerdì le azioni hanno perso l’8.3% del loro valore e oggi sono scese di un’ulteriore 1%, con un impatto complessivo di quasi 60 miliardi di dollari di valore, che però secondo alcuni analisti non è giustificato dalla reale condizione dell’azienda, che oggi può contare su ben 8 milioni di investitori pubblicitari.
In realtà, secondo gli stessi analisti, il rischio più grande per Facebook e le sue piattaforme arriva dall’eventualità di un’imposizione di legge che costringa ad ingenti investimenti per il tema della sicurezza e quello della privacy.
Insomma, molto rumore, ma per ora danni molto contenuti.
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