Tassa Copia Privata: aumento in vista?
Il nostro anno è cominciato da un po’ e per non perdere le buone abitudini porta con sé un probabile aumento della tassa sulla copia privata.
Sapete di cosa parliamo? E’ l’odioso balzello, frutto del lavoro di lobby di alcune associazioni, che viene applicato a tutti i dispositivi che hanno un supporto di memoria e che possono quindi immagazzinare contenuti multimediali audio e video.
Esiste da qualche anno, oggi si parla di un possibile aumento che potrebbe essere introdotto già nelle prossime settimane. Un prezzo che finisce direttamente a carico di chi compra, perché le aziende girano la tassa sul costo dei dispositivi.
Perché esiste la tassa sulla copia privata? Perché si suppone che chi usa quei dispositivi possa copiare contenuti regolarmente acquistati o rubare dei contenuti e consumare materiale acquisito illecitamente.
In pratica, viene chiesto di fornire una sorta di risarcimento preventivo a coloro che detengono i diritti di sfruttamento sulla musica.
Un po’ come se domani, all’acquisto della vostra prossima auto, vi chiedessero di anticipare il pagamento di una multa per divieto di sosta, perché si suppone che prima o poi violerete la legge con il mezzo che comprate.
Oppure se all’ingresso del supermercato vi mettessero le manette e vi trattenessero per un quarto d’ora, perché esiste la possibilità di rubare qualcosa tra gli scaffali.
Carino, no?
La Copia Privata è il compenso che si applica sui supporti vergini, apparecchi di registrazione e memorie in cambio della possibilità di effettuare registrazioni di opere protette dal diritto d’autore. In questo modo ognuno può effettuare una copia con grande risparmio rispetto all’acquisto di un altro originale oltre a quello di cui si è già in possesso. Prima dell’introduzione della copia privata, non era possibile registrare copie di opere tutelate. In Italia, come nella maggior parte dell’Unione europea è stata concessa questa possibilità, a fronte di un pagamento forfetario per compensare gli autori e tutta la filiera dell’industria culturale della riduzione dei loro proventi dovuta alle riproduzioni private di opere protette dal diritto d’autore realizzate con idonei dispositivi o apparecchi.
L’entità del compenso tiene conto del fatto che sui supporti si possa registrare anche materiale non protetto dal diritto d’autore.
Sito SIAE
Cosa succede negli altri paesi?
In Europa, come sempre, si va a diverse velocità, non è mai possibile dire come funzioni qualcosa, perché ogni paese fa storia a sé.
Di fatto, i paesi in cui si applica l’equo compenso sono la metà dei partecipanti all’unione europea e tra questi non c’è l’Inghilterra, che traina il business della musica.
E’ sempre difficile capire come noi sappiamo copiare i paesi peggiori quando dobbiamo ispirare le nostre scelte politiche.
La Germania e la Francia hanno un balzello simile al nostro, con un costo molto più alto, ma sono gli unici paesi in cui accade, mentre nella stragrande maggioranza degli altri paesi la copia privata costa meno della metà.
Sempre curioso capire come il paese più povero sia quello che paga di più.
Una norma aberrante
Comunque la si voglia vedere, la norma è aberrante e totalmente priva di senso, oltre che espressione di un tasso di civiltà molto ridotto.
Supporre che qualcuno possa rubare e imporre a tutti di pagarne il prezzo è il modo migliore per sdoganare la voglia di allinearsi a chi non rispetta le regole.
Se tanto il prezzo dei miei misfatti è condiviso, perché non piratare un po’ di musica? Perché non scaricare qualche filmetto dalla rete?
il principio di chiedere una cifra per copiare un contenuto già copiato è tra l’altro in contrasto con le condizioni contrattuali di servizi come Spotify o Apple Music, che contemplano l’uso di più dispositivi e la copia dei brani.
Sempre lui, il ministro Franceschini
La norma è stata varata quando era ministro della cultura Dario Franceschini.
Non ho conoscenza della materia, ma coloro che sono esperti mi dicono sia stato forse il peggior ministro ultimi anni tra coloro che hanno occupato quel posto.
Ora torna ad occupare lo stesso ruolo e come per incanto si torna a parlare di un aumento della tassa sulla copia privata, che sul fronte culturale è forse l’ultimo dei problemi a cui il paese dovrebbe far fronte.
Verrebbe da pensare che la logica risponda ad un qualche interesse privato o alla necessità di rispondere a qualche lobby di supporto. Pensare male, si sa, è peccato, ma spesso si indovina.
Il ministro già ai tempi diceva che le sue decisioni rispondevano a normative europee, la scusa ormai la conosciamo bene ed è una di quelle che ha portato metà del paese ad odiare il concetto di unione continentale.
Peccato che la tassa dovrebbe essere pagata dai produttori di supporti e invece viene “pari pari” girata ai consumatori e causa un sistematico aumento dei costi dei dispositivi.
Una tassa, per altro, che non risponde ai criteri di innovazione, che oggi spingono all’ascolto in streaming, senza la memorizzazione dei contenuti. E negli abbonamenti che si pagano è già contemplata una quota che viene corrisposta per usare i contenuti su più dispositivi.
In pratica, chi non delinque paga due volte per la stessa cosa.
Fossi nel ministro Franceschini mi preoccuperei di lasciare traccia nel futuro del mio operato per imprese più ragionevoli e più nobili che vessare coloro che comprano tecnologia, supponendo che siano dei ladri.
Chissà se i presunti ladri sapranno restituire il favore quando dovranno scegliere se eleggere o meno il nostro ineffabile ministro.