
Recensione Cronos: The New Dawn: tra Dead Space e BioShock, un horror con una sua identità (mistergadget.tech)
Bloober Team abbandona i remake per firmare la sua opera più ambiziosa. Un survival horror fantascientifico opprimente e metodico, che brilla per un’atmosfera magistrale ma inciampa su un’esecuzione a tratti troppo scolastica e su un’identità ancora incerta.
+ Un gameplay metodico e tattico che premia la pianificazione.
+ La gestione dell’inventario e del crafting è una parte integrante e tesa dell’esperienza.
+ Una progressione del personaggio e dell’equipaggiamento ben bilanciata.
+ Maestria assoluta nell’utilizzare silenzi, suoni e ambienti per creare angoscia.
– I combattimenti con i boss sono poco memorabili.
– La mancanza del doppiaggio polacco toglie un po’ di autenticità.
C’è un momento, nella carriera di ogni studio di sviluppo, in cui si sente il bisogno di fare un passo oltre la zona di comfort, di abbandonare le comode sponde delle licenze altrui per affrontare il mare aperto della creazione originale. Per Bloober Team, questo momento si chiama Cronos: The New Dawn. Dopo anni passati a esplorare gli incubi psicologici di Layers of Fear, a perdersi nei vicoli cyberpunk di Observer e, più di recente, a confrontarsi con il sacro graal del genere nel remake di Silent Hill 2, lo studio polacco sentiva di avere qualcosa da dimostrare. Non solo al pubblico, ma soprattutto a se stesso.

Cronos è il frutto di questa ambizione: un’opera matura, complessa, che tenta di fondere le ossessioni tematiche dello studio con una struttura da survival horror più tradizionale, omaggiando i grandi maestri del genere — Dead Space, Resident Evil, BioShock — ma cercando disperatamente una propria, personalissima voce. Il risultato è un’esperienza profondamente diseguale, un Giano bifronte che da un lato mostra un talento cristallino nella costruzione dell’atmosfera e dall’altro rivela un’insicurezza quasi palpabile nelle meccaniche e nella narrazione. Non è il capolavoro sperato, ma è un viaggio affascinante e brutale che segna una tappa fondamentale nel percorso di Bloober Team.
Indice
La struggente poesia della decadenza polacca
Il più grande, indiscutibile trionfo di Cronos è il suo mondo. Il gioco ci trasporta in una Polonia retrofuturista degli anni ’80, una visione alternativa della storia in cui un cataclisma legato ad anomalie temporali ha gettato il paese nel caos. L’estetica è un connubio affascinante di architettura brutalista, tecnologia analogica e decadenza post-industriale. Le acciaierie in rovina, modellate sulle vere fabbriche di Cracovia, non sono semplici sfondi, ma protagonisti silenziosi di una tragedia di cui dobbiamo raccogliere i frammenti.

Incarniamo “la Viaggiatrice”, un personaggio enigmatico, muto, racchiuso in una pesante armatura che ne nasconde l’identità. Ogni suo passo rimbomba con un peso metallico nei corridoi deserti, ogni suo respiro affannoso è un promemoria della nostra vulnerabilità. L’atmosfera è magistrale, un capolavoro di tensione costruita non sui facili jumpscare, ma sui silenzi, sui suoni soffocati e su un senso di isolamento quasi totale. Bloober Team orchestra la paura con la precisione di un direttore d’orchestra, alternando il ronzio dei terminali a nastro al lamento del vento che si insinua tra le crepe del cemento. Il sound design è eccezionale e, unito a una direzione artistica ispiratissima, crea un’ambientazione opprimente che rimane impressa nella memoria. È in questi momenti, quando ci si ferma ad ascoltare il lamento di un mondo morente, che Cronos raggiunge le vette più alte.
Sopravvivere, non trionfare: il peso di ogni scelta
Se l’atmosfera è il cuore pulsante del gioco, il gameplay ne è il pugno nello stomaco. Bloober Team ha volutamente abbandonato ogni velleità da action-horror. In Cronos, non si è eroi, si è sopravvissuti. La Viaggiatrice è lenta, goffa, intrappolata nel suo stesso scafandro. Non esistono schivate agili o combo spettacolari; ogni scontro è un calcolo freddo e disperato. I nemici, grottesche fusioni di carne e metallo, sono minacciosi non tanto per la loro forza, quanto per la nostra debolezza.

Il vero protagonista del gameplay è l’inventario: una griglia limitata in stile Resident Evil che trasforma ogni decisione in un dilemma straziante. Meglio portare con sé quel kit medico in più o i proiettili per il fucile? C’è spazio per il cannello ossidrico, essenziale per cremare i cadaveri dei nemici ed evitare che si fondano in creature più potenti? Ogni oggetto raccolto significa doverne lasciare indietro un altro, e questa scarsità cronica è la fonte di una tensione costante e palpabile. Il gioco ci costringe a pianificare, a pensare, a valutare ogni passo. Ogni corridoio non è solo un luogo da attraversare, ma un problema tattico da risolvere.
Questo approccio metodico e punitivo è audace e coerente con l’atmosfera, ma non è privo di difetti. La legnosità dei controlli a volte sfocia in frustrazione, e i combattimenti contro i boss, purtroppo, sono la parte meno riuscita dell’esperienza, spesso basati su pattern ripetitivi e poco ispirati. Si ha la sensazione che il team abbia avuto idee brillanti sulla carta – come la fusione dei nemici – ma che poi non abbia avuto il coraggio o le risorse per svilupparle appieno, rendendole secondarie rispetto al nucleo centrale della gestione delle risorse.
Un puzzle narrativo affascinante ma incompleto
Anche sul fronte narrativo, Cronos vive di luci e ombre. La storia, frammentata e raccontata attraverso registrazioni audio, note e visioni spettrali, ricorda da vicino la struttura di BioShock e System Shock. Raccogliere i pezzi di questo puzzle è affascinante, e il gioco tocca temi interessanti come il conflitto tra individuo e collettività, il senso del dovere e la natura della memoria.

Tuttavia, il mistero si sgonfia in un finale prevedibile, e per tutta la sua durata il gioco non riesce mai a liberarsi completamente dall’ombra dei suoi ingombranti modelli. L’influenza dei grandi classici è così forte da diventare a tratti un limite: il design di un corridoio grida Dead Space, la scoperta di un audio-diario evoca i fantasmi di Rapture, la nebbia psicologica profuma di Silent Hill. Manca quel passo finale per trasformare l’omaggio in un’opera veramente autonoma. La narrazione rimane un puzzle intrigante ma a cui, alla fine, sembra mancare qualche pezzo fondamentale per completare il quadro.
Considerazioni finali: un passo coraggioso, un’opera imperfetta
Cronos: The New Dawn non è il capolavoro che consacra Bloober Team nell’olimpo degli sviluppatori horror, ma è senza dubbio il loro gioco più importante. È un’opera imperfetta, a tratti frustrante, che chiede molto al giocatore in termini di pazienza e dedizione. Eppure, è anche un’esperienza coraggiosa, sincera e dotata di un’atmosfera così potente da perdonargli molti dei suoi difetti.

È un gioco che non cerca di compiacere, ma di opprimere; che non vuole divertire, ma angosciare. È la dimostrazione che lo studio polacco ha raggiunto una maturità artistica e una padronanza dei codici del genere invidiabili. Ora, la sfida per il futuro sarà quella di affiancare a questa straordinaria capacità di creare mondi e atmosfere un gameplay e una narrazione altrettanto originali e coraggiosi. Cronos non è il gioco che sognavamo, ma forse è il gioco di cui Bloober Team aveva bisogno per diventare, un giorno, lo studio che tutti sogniamo.