Xania Monet cantante AI (mistergadget.tech)
L’esordio segna una svolta storica per la musica generata artificialmente, tra entusiasmo e timori per il futuro della creatività
Il mondo della musica vive una nuova, controversa svolta. Per la prima volta nella storia, un’artista creata con l’intelligenza artificiale è entrata nelle classifiche statunitensi di Billboard. Si chiama Xania Monet, e con il suo singolo How Was I Supposed to Know? ha debuttato al 30° posto della classifica Adult R&B Airplay, conquistando nel contempo la prima posizione nella R&B Digital Song Sales. La notizia, riportata da Billboard e ripresa dalle principali testate internazionali, segna un passaggio simbolico e, per molti, inquietante: la prima artista “non umana” ad avere successo radiofonico reale negli Stati Uniti.
Una voce artificiale, un’anima umana
Dietro il progetto Xania Monet c’è la poetessa e designer del Mississippi Telisha “Nikki” Jones, che utilizza software di generazione musicale per trasformare le proprie poesie in canzoni R&B.
Secondo la biografia su Apple Music, Monet è presentata come “una vocalist R&B contemporanea”, ma in realtà la voce e le armonie sono interamente costruite con modelli di intelligenza artificiale.
Il successo non si è fatto attendere: con oltre 44,4 milioni di stream ufficiali negli Stati Uniti, l’artista digitale avrebbe già generato oltre 52 mila dollari di ricavi in pochi mesi. A settembre, dopo una vera e propria asta tra etichette, Monet ha firmato un contratto multimilionario con Hallwood Media, una delle società più attive nella gestione dei diritti musicali e dell’intelligenza artificiale applicata alla produzione creativa.
Dalle classifiche R&B alle radio nazionali
Il brano How Was I Supposed to Know? non è un semplice esperimento da laboratorio: ha scalato più classifiche di Billboard, apparendo anche in Hot R&B Songs, Hot Gospel Songs e Emerging Artists.
Si tratta di un risultato senza precedenti, che evidenzia come le piattaforme di streaming e le radio statunitensi stiano progressivamente aprendo le porte ai contenuti generati da AI, a volte senza nemmeno distinguere tra interpreti reali e virtuali.
Billboard ha sottolineato che nelle ultime quattro settimane consecutive almeno un’artista AI è comparsa nelle sue classifiche: un segnale di un trend ormai strutturale, non più isolato.
Una rivoluzione che divide il mondo della musica
Il successo di Monet ha acceso un acceso dibattito.
L’artista Kehlani ha definito la proliferazione della musica generata da AI “fuori controllo”, denunciando il rischio di una totale perdita di trasparenza:
“Queste tecnologie permettono di creare canzoni intere senza dover riconoscere o compensare nessuno dei musicisti o dei produttori da cui i sistemi hanno imparato.”
Sulla stessa linea si sono espressi Mac DeMarco e SZA, mentre Björn Ulvaeus degli ABBA ha assunto una posizione più sfumata, definendo l’intelligenza artificiale “un grande strumento, purché resti al servizio della creatività umana”.
Molti temono però che la crescita di progetti come quello di Xania Monet possa minacciare la sostenibilità economica dei musicisti in carne e ossa. Uno studio pubblicato a ottobre prevede che gli operatori del settore musicale potrebbero perdere fino al 25% dei propri introiti entro quattro anni proprio a causa della diffusione dell’AI generativa.
Le contromosse delle piattaforme
Le piattaforme di streaming stanno correndo ai ripari. Spotify ha recentemente rimosso 75 milioni di brani “spam” generati da AI e ha annunciato una nuova politica di protezione per artisti, autori e produttori.
L’azienda ha sottolineato che le regole verranno aggiornate con cadenza regolare per far fronte all’evoluzione rapidissima delle tecnologie di generazione musicale.
Anche Deezer ha svelato dati preoccupanti: quasi il 30% dei brani caricati sulla piattaforma è interamente generato da AI, una percentuale che testimonia quanto il confine tra arte e algoritmo sia ormai sempre più sottile.
Nel frattempo, si moltiplicano gli episodi di falsi artisti o profili di musicisti defunti riempiti di brani artificiali, caricati senza alcun consenso: un nuovo fronte di battaglia per le major e per i regolatori del copyright.
Tra fascinazione e paura
Il caso Monet non è isolato. Nei mesi scorsi, un “gruppo” AI chiamato The Velvet Sundown aveva raggiunto oltre 400 mila ascoltatori mensili su Spotify prima di rivelarsi un esperimento mediatico.
L’autore del progetto spiegò che l’intento era dimostrare quanto sia facile manipolare le logiche di playlist automatizzate e algoritmi di raccomandazione, ottenendo popolarità senza alcuna realtà artistica dietro.
Eppure, con Xania Monet, il fenomeno sembra essere uscito dal regno della parodia per entrare in quello della vera industria musicale.
L’industria divisa tra regolazione e opportunità
Nel Regno Unito, artisti del calibro di Paul McCartney, Kate Bush ed Elton John hanno chiesto al premier Keir Starmer di intervenire sulla legislazione in materia di copyright per proteggere i creativi.
Starmer ha risposto dichiarando che “è essenziale trovare un equilibrio tra innovazione e tutela del talento umano”, annunciando una consultazione pubblica in corso.
Nel frattempo, le major osservano il fenomeno con interesse misto a timore: da un lato, l’AI consente di ridurre i costi di produzione e di sperimentare nuovi linguaggi; dall’altro, pone interrogativi etici e legali mai affrontati prima.
Il futuro della musica (forse) è già qui
Con oltre 44 milioni di stream e un contratto discografico milionario, Xania Monet ha infranto una barriera simbolica: è la dimostrazione che un progetto interamente digitale può ottenere legittimità commerciale e visibilità mainstream.
Ma resta la domanda cruciale: cosa succede quando la creatività non appartiene più a una persona, ma a un algoritmo? La risposta — come la musica di Monet — è ancora tutta da scrivere.