Homey Pro Mini è un hub molto potente di smart home (mistergadget.tech)
Ci sono persone che hanno tre app diverse per gestire le luci di casa. Una per quelle del soggiorno, una per quelle della camera, una per quelle del bagno. Ogni marca, ogni ecosistema, ogni protocollo è un mondo a sé. E poi c’è chi ha un anemometro che quando rileva vento forte chiude automaticamente le tende da sole, anche se l’anemometro è di una marca e le tende di un’altra che non si sono mai parlate prima. La differenza sta in un aggeggio come Homey Pro Mini, che promette di essere l’esperanto della smart home.
Non è la prima volta che qualcuno prova a unificare l’universo frammentato della domotica. Ma Homey Pro Mini ha un approccio diverso: non vuole essere il hub definitivo che sostituisce tutti gli altri, vuole essere il direttore d’orchestra che fa suonare insieme strumenti che non conoscono nemmeno la stessa chiave musicale. A 249 euro, con la possibilità di aggiungere protocolli extra tramite il Bridge da 69 euro, è un’offerta che merita attenzione. Ma c’è un “ma” grosso come una casa: non è per tutti, e lo dice uno che ha passato settimane a testarlo.
Sistema di automazione potente ma richiede competenze tecniche. A 249 euro è un’alternativa interessante per chi cerca controllo locale e privacy, ma la curva di apprendimento è ripida.
+ Supporto Nativo per Zigbee, Thread, Matter
+ Sistema di automazione “flow” molto potente
+ Porta ethernet integrata
+ Compatibilità con migliaia di prodotti
– Richiede competenze tecniche
– Alcuni protocolli richiedono hardware esterno
– RAM interna limitata
Indice
La filosofia dietro Homey
Homey Pro Mini è la versione compatta di Homey Pro, lanciato dall’azienda olandese Athom e ora sotto l’ombrello LG. L’idea è semplice sulla carta: creare un hub che parli tutti i linguaggi della smart home, permettendo a dispositivi di marche diverse di collaborare come se fossero stati progettati per farlo. Il risultato è un sistema modulare dove si parte dal Mini per i dispositivi Wi-Fi, Zigbee, Thread e Matter, e si aggiunge il Bridge quando servono Z-Wave, Bluetooth, infrarossi o 433MHz.
La differenza fondamentale con altri hub sta nella filosofia “local-first”: tutto viene processato localmente, senza passare dai server dell’azienda. Internet serve solo quando il dispositivo stesso lo richiede, come nel caso di telecamere di sicurezza cloud o assistenti vocali. Questo significa automazioni più veloci, maggiore affidabilità e privacy reale. Quando la connessione cade, Homey continua a funzionare.
Hardware: piccolo ma denso
Il Pro Mini è un disco nero elegante, squadrato quanto basta per non sembrare un UFO sul mobile del soggiorno. Piccolo, discreto, con una porta Ethernet e una USB-C sul retro. Finalmente qualcuno che include l’Ethernet di serie invece di venderlo come accessorio separato. Il processore quad-core ARMv8 da 1,5GHz e 1GB di RAM non sono numeri da urlo, ma gestiscono tranquillamente una ventina di app Homey installate contemporaneamente.
La dimensione contenuta nasconde una complessità notevole: chip Zigbee 3.0 integrato, supporto per Thread come border router, certificazione Matter (ancora in attesa dell’ufficializzazione da parte della Connectivity Standards Alliance, ma funzionante).
Mancano i radio per Z-Wave, Bluetooth, infrarossi e 433MHz, che vanno aggiunti tramite il Bridge. È una scelta commerciale sensata: chi non ne ha bisogno risparmia, chi serve un ventaglio completo spende comunque meno che prendere il Pro standard.
Software: dove Homey fa la differenza
HomeyOS è il cuore pulsante del sistema. L’interfaccia, disponibile via app mobile e web, organizza i dispositivi per stanze e zone. L’aspetto è pulito, moderno, ma il vero valore emerge quando si inizia a costruire automazioni. Il sistema “Flow” è strutturato con una logica “Quando… E… Allora”: quando il sensore rileva movimento, e il sole è tramontato, allora accendi le luci del soggiorno e avvia la musica su speaker smart.
Semplice come idea, potentissimo come esecuzione. Gli “Advanced Flow”, accessibili via web, permettono di creare diagrammi complessi con ramificazioni, loop, condizioni multiple. Non serve scrivere codice, ma serve capire la logica.
Per chi viene da Home Assistant è un sollievo, per chi arriva da Apple Home è un salto nel vuoto. La curva di apprendimento è ripida, ma una volta capito il meccanismo si aprono scenari impossibili con altri sistemi.
Homey ha lanciato anche una soluzione di smart home basata solo sul software che non richiede l’acquisto di hardware, la soluzione più completa con l’hardware rimane però la più efficiente.
L’ecosistema delle app
Homey funziona con un modello di app store: ogni brand o protocollo ha la sua app che fa da driver. Philips Hue ha la sua, Aqara la sua, IKEA la sua. Le app ufficiali sono mantenute dai produttori o da Athom, quelle della community sono create da appassionati. Il risultato è un catalogo enorme, con supporto per dispositivi che altri hub ignorano bellamente.
Il problema è che non tutto è ufficialmente supportato. Alcuni produttori, come Tuya, hanno revocato l’accesso alle API, lasciando gli utenti a cercare soluzioni della community o a configurare account sviluppatore. Reolink e Dreo, per fare altri esempi, non offrono API aperte, ma esistono app Homey non ufficiali che colmano le lacune. Funziona, ma bisogna accettare che alcune integrazioni siano più fragili di altre.
Compatibilità: il bene e il male
La promessa di supportare oltre 50.000 dispositivi di più di 1.000 brand è vera. Ho testato lampadine smart IKEA, sensori Aqara, termostati Tado, prese Meross, strisce LED WiZ, e tutto si è aggiunto senza drammi. Matter funziona, anche se alcuni dispositivi come tende e serrature hanno mostrato disconnessioni occasionali che richiedevano un nuovo pairing. Non è un problema solo di Homey, Matter è ancora giovane e instabile.
La stabilità dipende molto dal protocollo. Zigbee è solido come una roccia, Thread funziona bene, Matter è una lotteria. I dispositivi Wi-Fi dipendono dalla qualità della rete domestica. Z-Wave, aggiunto tramite Bridge, è affidabile ma richiede hardware extra. L’integrazione con Apple Home tramite Matter è sperimentale ma funziona sorprendentemente bene per esporre i dispositivi senza duplicarli.
Automazioni: il regno dei Flow
È qui che Homey giustifica il prezzo. Un esempio pratico: ho creato un Flow che quando qualcuno rientra a casa (geofencing via app), e la temperatura esterna è sotto i 15 gradi, e sono le 17 o più tardi, accende il riscaldamento a 21 gradi nel soggiorno. Se invece è estate, abbassa le tapparelle e avvia il condizionatore. Tutto basato su sensori Zigbee, termostato Wi-Fi, e dati meteo dal cloud.
Gli Advanced Flow permettono complessità ancora maggiori. Ho costruito uno scenario per la sera che controlla se qualcuno è in casa, se ci sono ospiti (tramite sensori di movimento multipli), regola le luci in base all’ora e al meteo, e prepara la temperatura ideale per la notte. Sono catene logiche che con altri sistemi richiederebbero scripting manuale o configurazioni tortuose.
La funzione “Insights” registra tutto: consumi energetici, temperature, attivazioni dei sensori. Si possono costruire grafici per capire dove si spreca energia, quando un sensore si attiva più spesso, come si comporta un dispositivo nel tempo. Per chi vuole ottimizzare consumi e automazioni è uno strumento prezioso.
Privacy e controllo locale
Homey elabora tutto in locale. Le automazioni girano sul dispositivo, non sui server Athom. Internet serve solo per scaricare app, accedere da remoto (opzionale), e per dispositivi che per natura richiedono il cloud. I backup possono essere locali via USB o cloud a 10 euro l’anno. Le chiavi API locali permettono di integrare Homey con sistemi esterni senza passare dal cloud.
Per chi ha preoccupazioni sulla privacy, è un approccio raro nel 2025. La maggior parte degli hub smart home dipende pesantemente dal cloud, con tutti i rischi che ne conseguono. Homey offre un’alternativa concreta, ma richiede una rete domestica stabile e una certa dimestichezza con configurazioni di rete come port forwarding se si vuole accesso remoto diretto.
Confronto con le alternative
Home Assistant è più potente, più flessibile, completamente open source. Ma richiede un Raspberry Pi o un mini PC sempre acceso, configurazioni manuali via file YAML, e una pazienza infinita. Homey offre l’80% delle funzionalità con il 20% della complessità. SmartThings è più semplice ma dipende totalmente dal cloud e le automazioni sono limitate. Apple HomeKit è eccellente per chi vive nell’ecosistema Apple, ma la compatibilità è ristretta e le automazioni complesse sono un incubo.
Alexa e Google Home sono ottimi per il controllo vocale, meno per automazioni serie. Homey si posiziona come hub per chi vuole automazioni professionali senza dover studiare programmazione. Il prezzo riflette questa filosofia: non è per chi vuole solo accendere le luci con la voce, è per chi vuole che la casa ragioni da sola.
Chi dovrebbe comprarlo
Homey Pro Mini è perfetto per chi sta costruendo una smart home da zero e vuole farlo bene. Per chi ha già un’infrastruttura complessa basata su Apple Home o altri sistemi, potrebbe complicare le cose invece di semplificarle. Il valore emerge quando si hanno dispositivi di marche diverse che non comunicano tra loro, o quando si vogliono automazioni sofisticate che vanno oltre il semplice “accendi la luce quando arrivo a casa”.
Non è per chi cerca plug-and-play assoluto. Serve voglia di esplorare, configurare, sperimentare. La documentazione è buona ma non esaustiva, la community è attiva ma prevalentemente in inglese. Chi viene da sistemi come Home Assistant troverà Homey un sollievo, chi arriva da ecosistemi consumer troverà un salto concettuale importante.
Cosa manca
La RAM limitata a 1GB è il vincolo principale. Athom dichiara che l’utente medio installa 14 app, quindi 20 sono sufficienti. Ma chi vuole sfruttare appieno la piattaforma si trova rapidamente al limite. Il Pro standard, con 2GB di RAM e tutti i radio integrati, costa 399 euro: il doppio, ma con margini operativi molto più ampi.
La stabilità Matter è ancora traballante, ma non è colpa di Homey: lo standard è giovane e i produttori stanno ancora capendo come implementarlo correttamente. Il supporto per alcuni brand popolari, come Tuya o alcuni device specifici, richiede workaround o app della community. Non è un limite insuperabile, ma aggiunge frizione.
Verdetto
Homey Pro Mini non è l’hub che unisce tutto senza sforzo. È l’hub che permette di unire tutto, se si sa come farlo. La differenza è sottile ma fondamentale. Per chi ha pazienza, competenze minime di networking, e voglia di costruire una smart home seria, è uno strumento straordinario. Le automazioni sono potenti, il controllo locale è reale, la compatibilità è vastissima.
A 249 euro si posiziona in una fascia di prezzo competitiva, soprattutto considerando che non ci sono abbonamenti obbligatori. Aggiungere il Bridge per 69 euro porta il totale a 318 euro, ancora sotto i 399 del Pro standard. Per chi parte da zero è un investimento sensato. Per chi ha già una casa automatizzata con altri sistemi, il passaggio va valutato attentamente.
La vera domanda è: siete disposti a investire tempo per capire come funziona? Se la risposta è sì, Homey Pro Mini è uno degli hub più interessanti sul mercato. Se cercate qualcosa che funzioni subito senza pensieri, meglio guardare altrove. La smart home, quella vera, richiede un po’ di impegno. Homey rende il lavoro più semplice di altri, ma non lo fa sparire.