UE indaga su Google (mistergadget.tech)
Nel mirino di Bruxelles la nuova “site reputation abuse policy” del motore di ricerca: potrebbe penalizzare gli editori europei e violare il Digital Markets Act.
La Commissione Europea ha ufficialmente aperto un’indagine nei confronti di Google per verificare se le nuove regole introdotte dal motore di ricerca stiano danneggiando in modo ingiusto gli editori digitali europei. Al centro del caso c’è la controversa “site reputation abuse policy”, una norma che Google ha implementato per ridurre lo spam e i contenuti di bassa qualità, ma che secondo diverse testate starebbe provocando un drastico crollo di visibilità nelle ricerche.
L’iniziativa è guidata da Margrethe Vestager, commissaria alla Concorrenza dell’UE, che intende verificare se la misura violi il Digital Markets Act (DMA), la legge europea che impone ai grandi operatori tecnologici — i cosiddetti “gatekeeper” — di garantire parità di trattamento e trasparenza nei mercati digitali.
Il cuore del problema: la “site reputation abuse policy”
Introdotta nei mesi scorsi, la nuova policy di Google è stata pensata per contrastare le pratiche di “posizionamento artificiale” nei risultati di ricerca. In pratica, penalizza i siti che ospitano contenuti provenienti da fonti esterne con bassa autorevolezza, spesso legati a operazioni commerciali o promozionali.
Secondo Google, la misura serve a migliorare la qualità delle SERP, riducendo la diffusione di contenuti ingannevoli o “pay-for-play”, cioè pagati per ottenere visibilità attraverso domini più forti. Tuttavia, per molti editori legittimi — soprattutto piccole e medie realtà editoriali — questa modifica ha avuto un effetto collaterale devastante: la perdita improvvisa di traffico e di entrate pubblicitarie, senza alcuna violazione effettiva delle linee guida.
Alcune testate europee hanno segnalato cali fino al 40% nella visibilità su Google Search a partire dal rollout della policy, evidenziando come anche articoli originali o in partnership siano stati declassati rispetto a siti minori o aggregatori.
La risposta di Google: “Una misura necessaria contro lo spam”
In un post pubblicato su The Keyword, Pandu Nayak, Chief Scientist di Google Search, ha difeso la legittimità della policy, definendo l’indagine europea “fuorviante e potenzialmente dannosa per milioni di utenti”.
Secondo l’azienda, la misura non mira a colpire gli editori, ma a tutelare la qualità dell’informazione online. Google sostiene inoltre che un’indagine analoga, condotta dalle autorità tedesche, abbia già confermato la validità e la coerenza del sistema di penalizzazione.
L’obiettivo, scrive Nayak, è evitare che i risultati di ricerca vengano “inquinati da contenuti di scarsa qualità che sfruttano la reputazione di siti autorevoli per guadagnare visibilità indebita”.
Possibili conseguenze: multe miliardarie e interventi strutturali
Se l’indagine dovesse confermare una violazione del Digital Markets Act, Google potrebbe subire sanzioni fino al 10% del fatturato globale di Alphabet, il gruppo di cui fa parte. In caso di recidiva o comportamenti sistematicamente anticoncorrenziali, Bruxelles potrebbe imporre anche misure più drastiche, come lo scorporo di divisioni aziendali o il blocco di future acquisizioni.
Dal 2023, Google Search è classificato come “core platform service” ai sensi del DMA, il che significa che rientra a pieno titolo tra i servizi digitali sottoposti a vigilanza rafforzata da parte dell’UE.
Un nuovo capitolo nella tensione tra Big Tech ed editori europei
Questa indagine si inserisce in un contesto più ampio di frizione tra le piattaforme digitali e il settore editoriale europeo. Dopo le battaglie sul compenso per i contenuti giornalistici, la questione della visibilità algoritmica apre un nuovo fronte, ancora più complesso da regolare. Molti editori chiedono ora alla Commissione di istituire un tavolo tecnico per garantire maggiore trasparenza nei criteri di ranking e un sistema di revisione indipendente per i casi di penalizzazione ingiustificata.
Nel frattempo, Google continua a difendere il proprio modello, sostenendo che la lotta allo spam e alle manipolazioni della reputazione online sia “essenziale per la salute dell’ecosistema informativo”. Ma l’Europa sembra intenzionata a verificare se l’antispam di Mountain View non sia diventato, di fatto, un filtro arbitrario per il mercato editoriale.