
AWS, la fragilità di Internet (mistergadget.tech)
Il 20 ottobre 2025 il mondo ha riscoperto quanto sia fragile la rete globale. Un blackout massiccio dei server di Amazon Web Services (AWS) ha paralizzato per ore migliaia di piattaforme digitali, lasciando milioni di utenti e aziende senza accesso a servizi fondamentali. Dai social network alle app bancarie, fino alle piattaforme di lavoro e intrattenimento, il down di AWS ha rivelato un problema più profondo: Internet è oggi nelle mani di pochissimi operatori globali.
Un guasto partito dagli Stati Uniti e propagato in tutto il mondo
Il disservizio è iniziato nella mattinata del 20 ottobre, alle 8:00 ora italiana, nella regione “US-East-1”, la più trafficata infrastruttura cloud di AWS situata sulla costa orientale degli Stati Uniti. Amazon ha segnalato “un aumento dei tassi di errore e delle latenze” nei propri servizi, ma nel giro di poche ore il problema si è diffuso a livello planetario.
Tra le piattaforme coinvolte figurano Snapchat, Roblox, Signal, Slack, Duolingo, Coinbase, Pokémon Go, PlayStation Network, Peloton, oltre ai servizi interni di Amazon come Ring, Alexa e Prime Video.
In Italia, gli effetti si sono fatti sentire anche su Canva, Zoom, Paypal, Intesa Sanpaolo e Agenzia delle Entrate, con pesanti rallentamenti e difficoltà di accesso ai portali.
Secondo Downdetector, si sono registrate oltre 8 milioni di segnalazioni di disservizio, di cui quasi due milioni provenienti dagli Stati Uniti. La situazione è tornata alla normalità solo intorno alle 16:00 italiane, dopo otto ore di interruzioni.

Nessun attacco hacker: è stato un errore interno
Amazon ha escluso fin da subito la pista di un attacco informatico. L’origine del guasto è stata ricondotta a un errore interno nel sistema di monitoraggio dei “load balancer”, elementi fondamentali che distribuiscono il traffico tra i server per evitare sovraccarichi. Il problema ha colpito una componente del servizio DynamoDB, generando un effetto a catena che ha mandato in tilt gran parte delle API di AWS.
Steven Murdoch, professore di sicurezza informatica all’University College London, ha spiegato che “l’incidente sembra essere stato causato da una modifica interna errata, non da un’azione dolosa”. Le analisi di Cisco ThousandEyes hanno individuato un picco anomalo di malfunzionamenti proprio in Virginia, confermando la vulnerabilità di un’infrastruttura centralizzata e fortemente concentrata.
La dipendenza globale dal cloud di pochi
Il blackout di AWS ha rilanciato un dibattito ormai inevitabile: troppa parte dell’economia digitale mondiale dipende da un numero ristretto di aziende. Tra i leader del settore troviamo Amazon, Microsoft, Google e Alibaba, che insieme controllano oltre l’80% dei servizi cloud.
“La rete che sostiene il giornalismo indipendente, il commercio elettronico e la comunicazione globale non può dipendere da quattro aziende”, ha dichiarato Corinne Cath-Speth, responsabile digitale dell’organizzazione per i diritti umani Article 19.
Anche Madeline Carr, docente di politica globale e cybersecurity alla UCL, ha commentato: “È vero che solo i giganti del cloud possono offrire infrastrutture resilienti, ma proprio questa concentrazione rappresenta una minaccia per la stabilità del mondo digitale”.

Una lezione già vista, ma ancora non imparata
Il caso AWS arriva a poco più di un anno dal caos mondiale causato da CrowdStrike, quando un aggiornamento difettoso aveva mandato in crash milioni di computer Windows. Eppure, nonostante quell’episodio, la dipendenza da pochi fornitori di cloud è aumentata. Sempre più governi, imprese e servizi pubblici affidano le proprie infrastrutture digitali alle stesse piattaforme, senza reali alternative o sistemi di backup distribuiti.
Il blackout del 20 ottobre non è quindi soltanto un problema tecnico, ma un monito politico ed economico: la rete mondiale non è “di tutti”, ma di chi la gestisce. E fino a quando non si svilupperanno modelli di cloud più distribuiti, sovrani e interoperabili, un singolo errore a Seattle potrà spegnere — letteralmente — una parte del mondo.