
Pixel Watch 4 ha due versioni, da 41 e 45 mm (mistergadget.tech)
Settimane al polso con il Google Pixel Watch 4 da 41 mm, e la sensazione è curiosa: da un lato l’impressione di trovarsi di fronte al miglior smartwatch che Google abbia mai realizzato, dall’altro la frustrazione per una scelta software tanto incomprensibile quanto limitante. Ma andiamo con ordine.
+ Design elegante e confortevole
+ Gemini AI con Raise to Talk
+ Prestazioni hardware
+ Monitoraggio fitness
+ Ricarica ultra-rapida
+ Wear OS 6 con Material 3 Expressive
+ GPS dual-band preciso
+ Display luminosissimo
– Informazioni ridotte in alcune attività
– Prezzo elevato
– Caricatore non compatibile con generazioni precedenti
– Ecosistema app ancora limitato
– Contatti di ricarica laterali leggermente sporgenti
Indice
- Software e intelligenza artificiale: quando l’assistente vocale diventa davvero utile
- Fitness tracking: eccellenza generale, disastro parziale
- Ed eccoci al problema
- Autonomia: il prezzo della compattezza
- Hardware e prestazioni: nulla da obiettare
- Design e display: l’innovazione che si vede e si sente
- Ricarica laterale: innovazione con compromesso
- Ecosistema applicativo: meglio, ma non abbastanza
- Vale la pena spendere 349 euro?
- Verdetto finale
Software e intelligenza artificiale: quando l’assistente vocale diventa davvero utile
Partiamo da quello che, a sorpresa, si è rivelato l’aspetto più interessante di questo Pixel Watch 4: l’integrazione con Gemini. Non è la solita funzione “tanto per averla”, ma qualcosa che cambia concretamente il modo di interagire con lo smartwatch.
La vera magia sta nel Raise to Talk: alzi il polso, e Gemini si attiva. Punto. Niente “Hey Google”, niente comandi vocali preliminari. Sollevi il braccio di una decina di centimetri verso il viso, parte un alone blu nella parte bassa dello schermo, e puoi parlare. Ho impostato la sensibilità al massimo e le attivazioni accidentali sono state rarissime, sempre risolte in pochi secondi dall’assistente che si disattiva da solo se non riceve input.
Durante le prove ho usato Gemini per trovare ristoranti aperti nella zona con relative distanze a piedi, per verificare impegni in calendario incrociandoli con email ricevute, persino per curiosità piuttosto specifiche. Le risposte sono state pertinenti nella quasi totalità dei casi, ben diverse dal classico “ho trovato questi risultati sul web” degli assistenti tradizionali.

Il sistema riconosce automaticamente gli allenamenti dimenticati – utile per chi come me parte di corsa senza avviare il tracking manualmente – e fornisce analisi post-attività con suggerimenti che sembrano scritti appositamente, non generati in serie. Wear OS 6 con la nuova interfaccia Material 3 Expressive accompagna questa esperienza con animazioni fluide e una coerenza visiva finalmente all’altezza: elementi che si allungano durante lo scroll, tile che si trasformano al tocco, Dynamic Color che unifica cromaticamente l’interfaccia al quadrante scelto.
I tile sono stati ripensati per occupare ogni pixel disponibile, spingendosi fino ai bordi del display circolare. Il risultato? Un’interfaccia che sembra più spaziosa di quanto le dimensioni fisiche suggeriscano.
Fitness tracking: eccellenza generale, disastro parziale
Il monitoraggio della salute e dell’attività fisica è complessivamente eccellente. L’eredità Fitbit si vede e si sente: rilevazione della frequenza cardiaca accurata anche sotto sforzo intenso, tracking del sonno dettagliato con distinzione precisa tra le varie fasi, oltre cinquanta modalità sportive disponibili, metriche avanzate per i runner come oscillazione verticale e tempo di contatto al suolo.
Il GPS dual-band si aggancia velocemente e mantiene un tracciamento stabile. Durante i test comparativi ho riscontrato precisione notevole sia nel conteggio dei passi che nella misurazione delle distanze, con margini di errore trascurabili. Il sistema di punteggio giornaliero Readiness, che incrocia qualità del riposo e intensità degli allenamenti recenti, si è rivelato sorprendentemente utile per capire quando spingere e quando rallentare.
Ed eccoci al problema
Qui però emerge il limite incomprensibile che ho anticipato nel titolo. Durante la corsa il Google Pixel Watch 4 mostra una ricchezza di informazioni notevole: passo istantaneo e medio, distanza percorsa, frequenza cardiaca in tempo reale, cadenza, mappa del tracciato. Tutto chiaro, tutto accessibile con uno sguardo veloce.
Durante il nuoto, invece, l’orologio si trasforma in un semplice cronometro: vedete solo i minuti trascorsi dall’inizio dell’attività. Niente vasche, niente distanza, niente battito cardiaco. Solo numeri che scorrono. Su uno smartwatch da 349 euro. Con hardware perfettamente capace di gestire queste informazioni, come dimostra il comportamento durante altre attività.

Non è una limitazione tecnica, è una scelta software discutibile che penalizza pesantemente chi pratica nuoto con regolarità. Produttori concorrenti, con dispositivi talvolta meno potenti, offrono metriche complete e personalizzabili durante gli sport acquatici. Tutto il necessario c’è, basterebbe un aggiornamento software. Ma al momento della prova, il gap resta e infastidisce parecchio.
Tra l’altro c’è anche un aspetto curioso, quando si accede alla personalizzazione dello smartwatch, apparentemente il software prevede la personalizzazione delle informazioni che vengono mostrate, ma poi quando si entra in quelle voci del menu non ci sono alternative selezionabili.
Autonomia: il prezzo della compattezza
La batteria da 325 mAh garantisce, sulla carta, 30 ore di utilizzo con display sempre attivo, estendibili a 48 in modalità risparmio energetico. Nella realtà quotidiana, con notifiche attive, qualche allenamento tracciato, streaming musicale occasionale e l’inevitabile consultazione frequente delle informazioni, le 36 ore rappresentano un traguardo ragionevole prima che il sistema chieda pietà e attivi il risparmio energetico.
Tecnicamente potreste caricare l’orologio a giorni alterni. Praticamente, il secondo giorno vivrete con l’ansia della batteria scarsa, interrompendo di fatto il monitoraggio continuo della salute. E così si finisce per attaccarlo alla corrente ogni notte, come qualunque altro smartwatch.
La ricarica rapida attenua parzialmente il problema: un quarto d’ora sulla nuova base magnetica laterale regala il 50% di carica, 45 minuti bastano per il pieno. Ma se l’obiettivo è tracciare continuativamente sonno e parametri vitali, ogni interruzione per ricaricare rappresenta una lacuna nei dati raccolti.
Il modello da 45 mm, con batteria da 455 mAh, raggiunge tranquillamente i due giorni pieni. Ma se avete polsi più minuti o preferite dimensioni contenute, la versione da 41 mm vi costringe alla ricarica quotidiana. Nel 2025, con competitor che superano abbondantemente le 48 ore effettive, questo limite pesa.
Hardware e prestazioni: nulla da obiettare
Il chip Qualcomm Snapdragon W5 Gen 2, coadiuvato dal co-processore Cortex-M55 per operazioni specifiche e intelligenza artificiale, garantisce fluidità costante. App che si aprono istantaneamente, interfaccia che scorre senza esitazioni, multitasking gestito senza compromessi. I 2 GB di RAM e 32 GB di storage interno completano una configurazione hardware solida.
Connettività completa: Wi-Fi 6, Bluetooth 6.0, NFC per i pagamenti contactless tramite Google Wallet, banda ultralarga, GPS dual-band con supporto a GPS, Galileo e GLONASS. La versione LTE include la comunicazione SOS satellitare – potenzialmente salvavita per chi pratica outdoor, anche se in Italia non risulta ancora attiva.
Il feedback aptico di terza generazione è migliorato sensibilmente: ogni scatto della corona digitale durante lo scroll restituisce una risposta precisa, quasi puntiforme, molto diversa dalla vibrazione generica delle versioni precedenti.
Design e display: l’innovazione che si vede e si sente
Veniamo all’aspetto visivo e tattile. Google ha mantenuto la filosofia estetica delle generazioni precedenti, perfezionandola. La cassa da 41 mm in alluminio completamente riciclato, nella tonalità argento lucida, conferisce eleganza sufficiente per contesti formali pur mantenendo la sportività necessaria per l’allenamento. Con 31 grammi sulla bilancia (senza cinturino), si dimentica facilmente di averlo al polso.
La vera novità è il display Actua 360: vetro tridimensionale curvo che sostituisce la superficie piatta vista finora. Non è estetismo fine a sé stesso: la bombatura crea un effetto di profondità ottica che rende ogni interazione più coinvolgente. Gli swipe che partono dal centro dello schermo sembrano fluire più naturalmente, la leggibilità agli angoli estremi migliora notevolmente.
Lo schermo AMOLED LTPO da 1,2 pollici offre risoluzione di 408 pixel e refresh variabile da 1 a 60 Hz. Le cornici si sono ridotte del 16% rispetto alla terza generazione, l’area attiva è cresciuta del 10%. Risultato: più spazio visivo senza aumentare le dimensioni fisiche. I 3000 nit di luminosità massima rendono il display perfettamente leggibile sotto il sole diretto, mentre il minimo di 1 nit garantisce discrezione nelle situazioni buie.
Ricarica laterale: innovazione con compromesso
I contatti per la ricarica si sono spostati lateralmente sulla cassa, sostituendo il sistema magnetico posteriore. La nuova base mantiene l’orologio in posizione verticale, il display ruota automaticamente di 90 gradi per fungere da sveglia da comodino. Tempi rapidi: 15 minuti per il 50%, circa 45 per il pieno.
Il compromesso? I due pin metallici sono leggermente sporgenti e, durante l’uso normale, capita di sfiorarli con il dito quando si preme la corona o il tasto laterale. Non è drammatico, ma la superficie completamente liscia delle versioni precedenti risultava più piacevole al tatto. Inoltre, le vecchie basi di ricarica diventano inutilizzabili, costringendo all’acquisto del nuovo accessorio.

La certificazione IP68 e la resistenza fino a 5 ATM garantiscono tranquillità sotto la pioggia, durante allenamenti sudati e nuotate occasionali. Il Gorilla Glass 5 protegge lo schermo da graffi quotidiani.
Ecosistema applicativo: meglio, ma non abbastanza
L’accesso al Play Store garantisce disponibilità delle app essenziali: Google Maps per orientarsi, Google Wallet per pagamenti contactless, Spotify per la musica, WhatsApp per messaggiare. Le applicazioni first-party di Google sono generalmente ben realizzate, con particolare menzione per Pixel Weather che offre previsioni dettagliate e un tile meteo ricco di informazioni utili.
Confrontando con l’ecosistema Apple Watch, il divario rimane evidente. Molte app popolari mancano completamente, altre disponibili sembrano adattamenti frettolosi delle versioni mobile anziché esperienze pensate specificatamente per lo schermo ridotto dello smartwatch. Google sta lavorando per colmare questa lacuna, gli aggiornamenti costanti delle app di sistema lo dimostrano, ma la strada è ancora lunga.
Vale la pena spendere 349 euro?
Il prezzo parte da 349 euro per la versione Wi-Fi/Bluetooth da 41 mm, sale a 449 euro per il modello LTE. Non sono cifre trascurabili, considerando che competitor diretti come Samsung Galaxy Watch 8 o alternative come Huawei Watch GT 6 Pro offrono autonomie superiori a costi similari o inferiori.
Il Pixel Watch 4 compensa però con un’integrazione software nel mondo Android che non ha rivali, un design distintivo ed elegante, prestazioni hardware di primo livello, e soprattutto quell’implementazione di Gemini AI con Raise to Talk che, per chi vive nell’universo Google, rappresenta un valore concreto difficile da quantificare ma facile da apprezzare quotidianamente.
Dal punto di vista prettamente estetico, vale la pena menzionare le notifiche: alcune applicazioni hanno notifiche corredate di fotografie che sono visivamente bellissime.
Verdetto finale
Google ha realizzato lo smartwatch Android più completo e rifinito disponibile oggi. Il display curvo Actua 360 è piacevole sia alla vista che al tatto, Wear OS 6 finalmente dimostra maturità e coerenza, Gemini AI funziona sorprendentemente bene trasformando l’interazione vocale da fastidio occasionale a strumento quotidiano utile, il monitoraggio fitness e salute compete con i migliori dispositivi specializzati.
Due ombre offuscano questo quadro altrimenti eccellente: l’autonomia ridotta del modello da 41 mm per un utilizzo multi-giorno sereno, e le inspiegabili limitazioni informative durante alcune attività sportive, con il nuoto come caso più eclatante. Se Google risolvesse questi due aspetti critici con aggiornamenti software e hardware futuri, avremmo probabilmente tra le mani lo smartwatch Android definitivo.
Consigliato a chi cerca eleganza, intelligenza artificiale ben integrata, e vive già nell’ecosistema Google. Meno adatto a chi pratica nuoto seriamente o necessita di autonomie multi-giorno senza ansia da ricarica.
