
Recensione Lost Soul Aside: il "Final Fantasy cinese" è una triste occasione mancata? (mistergadget.tech)
Nato da un’idea ambiziosa e sviluppato per quasi un decennio, l’action GDR di UltiZero Games offre un sistema di combattimento solido e adrenalinico, ma si perde in un mondo generico e una narrativa senza anima.
+ La progressione di Kaser e la sinergia con Arena sono soddisfacenti.
+ Una buona colonna sonora che esalta i combattimenti con i boss.
+ Diverse sfide secondarie per mettere alla prova la propria abilità.
– Un universo di gioco generico e privo di identità.
– Personaggi piatti e dimenticabili.
– Livelli belli da vedere ma vuoti e lineari.
– Struttura dell’avventura eccessivamente ripetitiva.
– Meccaniche di gioco (come il crafting) superficiali e inutili.
– Un doppiaggio in inglese di bassa qualità
Ci sono storie, nel mondo dei videogiochi, che diventano quasi mitologiche prima ancora di arrivare al traguardo. Quella di Lost Soul Aside è una di queste. È la storia di un sogno, quello di un singolo sviluppatore, Yang Bing, che nel 2016 sbalordì il mondo con un prototipo creato in solitaria che sembrava avere l’energia e lo stile di un Final Fantasy moderno. Un sogno così potente da attirare l’attenzione di Sony, che lo ha inserito nel suo programma China Hero Project, trasformando un’idea personale in un progetto corale con un team di decine di persone.
Dopo quasi un decennio di attesa, silenzi e rinvii, quel sogno è finalmente diventato un prodotto concreto, disponibile su PC e PlayStation 5. Le aspettative, nel frattempo, sono cresciute a dismisura. Ma cosa rimane di quella promessa, di quell’esplosione di potenziale che aveva incantato tutti? Purtroppo, come spesso accade nelle storie più complesse, il risultato finale è un’opera agrodolce, un gioco che porta addosso le cicatrici della sua interminabile gestazione.
Indice
L’anima del gioco è in un sistema di combattimento esaltante
Non giriamoci intorno: l’ispirazione principale di Lost Soul Aside è, e rimane, quel progetto quasi leggendario che fu Final Fantasy Versus XIII, poi evolutosi in Final Fantasy XV. Il protagonista, Kaser, sembra il fratello gemello di Noctis, e ogni suo movimento evoca le atmosfere dark-fantasy che Tetsuya Nomura aveva immaginato. L’obiettivo di Yang Bing era chiaro: catturare quell’essenza e costruirci attorno un gioco d’azione puro. Su questo fronte, la missione è in gran parte compiuta.
Il sistema di combattimento è, senza alcun dubbio, il cuore pulsante e l’elemento più riuscito di Lost Soul Aside. Le basi sono quelle classiche del genere action stylish: un tasto per gli attacchi leggeri, uno per quelli pesanti, una schivata fulminea e una parata da attivare con tempismo perfetto. Su queste fondamenta solide, UltiZero Games ha costruito un’impalcatura ricca e stratificata. Kaser può equipaggiare fino a quattro armi e alternarle in tempo reale nel mezzo di una combo, creando un flusso di combattimento dinamico e visivamente spettacolare. Ogni arma ha un suo albero delle abilità, che sblocca nuove mosse e potenzia quelle esistenti.
Ad arricchire ulteriormente l’esperienza c’è Arena, un’entità mistica dall’aspetto di un drago che accompagna Kaser. Non è un semplice compagno, ma una vera e propria estensione del nostro arsenale, capace di scatenare abilità devastanti e di fondersi con l’eroe in una trasformazione temporanea che ne aumenta la potenza. Quando tutti questi elementi funzionano in sinergia, combattere in Lost Soul Aside è una vera gioia: è veloce, tecnico al punto giusto e appagante.

Tuttavia, anche in questo suo punto di forza, il gioco mostra qualche crepa. I colpi, pur visivamente splendidi, mancano di quel “feedback” fisico, quel senso di pesantezza che rende gratificante ogni fendente in titoli come Devil May Cry 5. Inoltre, nelle battaglie più affollate, la leggibilità dell’azione viene meno, con la telecamera che fatica a tenere il passo e un eccesso di effetti particellari che trasformano lo schermo in un caos confuso.
Un corpo senz’anima: universo, storia ed esplorazione
Se il gameplay è l’anima vibrante del progetto, tutto ciò che la circonda appare come un corpo freddo, generico e privo di vita. Il problema più grande di Lost Soul Aside è che, al di fuori dei combattimenti, fatica a trovare una propria identità, appoggiandosi in modo quasi parassitario alle sue ingombranti ispirazioni. Il mondo di gioco è un collage di cliché fantasy-sci-fi: foreste incantate che sembrano uscite da un generatore casuale, deserti anonimi e città industriali che gridano “Midgar” a ogni angolo. Manca un senso di coesione, un’anima che leghi insieme questi biomi sconnessi.

La narrativa non fa che accentuare questa sensazione di vuoto. La trama del “fratello che deve salvare la sorella” è un canovaccio talmente usurato da non offrire alcun appiglio emotivo. I personaggi secondari appaiono e scompaiono senza lasciare traccia, sono maschere monodimensionali che recitano un copione prevedibile. Il cattivo principale, Aramon, è semplicemente “cattivo”, senza sfumature o motivazioni credibili. L’unico barlume di vita è nel rapporto tra Kaser e Arena, le cui interazioni rappresentano i rari momenti di calore in una storia altrimenti gelida.
Questa carenza strutturale si riflette nel design del mondo. L’hub centrale, un porto dove si torna ripetutamente tra una missione e l’altra, diventa presto il simbolo della vacuità del gioco: un luogo dove si è costretti a tornare, non per piacere, ma per interagire con PNG che sono poco più che distributori automatici di potenziamenti. L’avventura si riduce a un ciclo ripetitivo: vai nell’hub, scegli una destinazione, attraversa un bioma-corridoio, trova un portale, sconfiggi un boss, e ricomincia. Manca il senso della scoperta, il piacere dell’esplorazione.
Un gioco intrappolato nel suo stesso sviluppo
Lost Soul Aside è la vittima più evidente della sua stessa, interminabile gestazione. Molte delle sue meccaniche di gioco sembrano uscite da un’altra epoca videoludica. Le attività secondarie, ad esempio, si riducono a compiti banali come raccogliere sfere a tempo, un tipo di design che appartiene all’era di PlayStation 2 e 3. Anche il sistema di crafting, potenzialmente interessante, è superficiale e talmente mal spiegato che si finisce per ignorarlo per tutta la durata del gioco.

Questa sensazione di “vecchio” pervade anche il ritmo dell’avventura. I livelli, per quanto belli da vedere, sono spesso vuoti. Si attraversano lunghi corridoi con pochi nemici, posizionati quasi a caso, che non offrono una vera sfida ma servono solo a dilatare i tempi tra un combattimento importante e l’altro. Fortunatamente, i combattimenti contro i boss sono generalmente più ispirati e divertenti, e rappresentano i picchi di un’esperienza altrimenti piatta. Ma anche in questo caso, la struttura è spesso ripetitiva, basata sull’attendere il momento giusto per eseguire una parata perfetta e contrattaccare. Si ha la costante impressione che le grandi ambizioni iniziali siano state drasticamente ridimensionate, lasciando solo lo scheletro di quello che avrebbe potuto essere.
Considerazioni finali: un sogno a metà
È triste giungere a questa conclusione, perché la passione di Yang Bing e del suo team è palpabile in ogni animazione di combattimento, in ogni scorcio artisticamente curato. Ma la passione, da sola, non basta a fare un grande gioco. Lost Soul Aside è un’opera profondamente scissa: da un lato, un sistema di combattimento adrenalinico e ben realizzato che potrebbe rivaleggiare con alcuni dei migliori del genere; dall’altro, un gioco d’avventura mediocre, con una storia banale, un mondo senz’anima e una struttura ripetitiva.

Non è un disastro totale, ma è un’enorme occasione mancata. È la storia di un sogno che, nel lungo e tortuoso percorso per diventare realtà, ha perso per strada parte della sua magia. Il risultato finale è un titolo appena sufficiente, un corpo tecnicamente funzionante a cui però manca quasi tutto il resto.