
L'AI fornirà riassunti in google discover, un autogol? (mistergadget.tech)
Google Discover è, da qualche anno, una delle principali porte d’ingresso all’informazione online. È il feed personalizzato che appare scorrendo verso destra sulla schermata principale di uno smartphone Android o aprendo l’app di Google su iOS. A differenza della classica ricerca, qui gli utenti non cercano nulla: è Google che propone una selezione di contenuti basata sugli interessi, le abitudini e le attività recenti.
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È un sistema che ha fatto la fortuna di molte testate online. In un mondo dove il traffico dai social è sempre più volatile e l’accesso diretto ai siti è in costante calo, Discover ha rappresentato una linfa vitale. Permette agli editori, anche quelli meno noti, di intercettare nuovi lettori grazie all’algoritmo di raccomandazione di Big G, che spinge le notizie in base a gusti e abitudini dell’utente. Tutto questo, senza che l’utente debba fare nulla: è il contenuto a trovare lui.
Google Discover, insomma, è diventato un punto nevralgico dell’ecosistema digitale. Un modello apparentemente win-win: l’utente riceve contenuti su misura, l’editore guadagna lettori (e pubblicità), Google controlla la distribuzione e monetizza grazie alla pubblicità visualizzata nel feed stesso e nei siti visitati. Ma come spesso accade nel mondo della tecnologia, anche i modelli “vincenti” possono subire una mutazione non sempre comprensibile.
Cosa sta per cambiare
Da qualche settimana, Google sta testando e gradualmente introducendo nel feed Discover una nuova funzione: i riassunti automatici con intelligenza artificiale. In pratica, al posto di mostrare il classico titolo, immagine e breve estratto di un articolo, Discover può ora inserire una sintesi generata da un sistema di AI.
Il concetto è semplice, ma l’impatto potenzialmente devastante. L’utente potrebbe leggere il riassunto senza mai cliccare sull’articolo. E qui crolla tutto l’impianto: niente clic, niente visita al sito, niente pubblicità, niente guadagni per l’editore. È un po’ come se qualcuno ti prestasse un libro, ma dopo aver fotocopiato l’introduzione e trattenuto il resto per sé.
Google ha già rassicurato il mercato: sostiene che i riassunti AI non penalizzeranno gli editori. Una rassicurazione che suona vagamente simile a quella che aveva accompagnato l’introduzione degli AI Overview all’interno della ricerca tradizionale. Anche lì si diceva che non ci sarebbero stati impatti sul traffico web. Peccato che i dati dicano altro.
Secondo comScore, solo in Italia, il traffico verso i siti editoriali ha subito una brusca frenata ad aprile, aggravata a maggio. E dagli Stati Uniti arrivano numeri ancora più preoccupanti: alcuni editori hanno registrato cali fino al 60% da quando l’intelligenza artificiale ha iniziato a sintetizzare le informazioni nella pagina dei risultati.
Perché la scelta è incomprensibile
Nel contesto del motore di ricerca, il tentativo di trattenere l’utente sulla piattaforma può persino essere comprensibile. Google si trova a fronteggiare una nuova concorrenza, quella dei chatbot come ChatGPT, che offrono risposte senza rimandare a link esterni. In questo contesto, il motore ha bisogno di difendere la propria rilevanza e arginare l’emorragia di attenzione.
Ma dentro Discover? La logica si fa più sfocata. Qui non si risponde a domande, non si esaudiscono bisogni puntuali: si propone intrattenimento e informazione. Il feed è un flusso di contenuti selezionati per incuriosire, ispirare, coinvolgere. Non ha senso sintetizzarli con una frase asciutta, per di più generata automaticamente.
È come se Netflix, al posto di mostrarti il trailer di un film, ti dicesse: “Nel finale muore il protagonista”. Grazie, possiamo anche evitarlo. E infatti l’effetto collaterale più probabile è proprio questo: l’utente legge il riassunto e passa oltre. L’articolo, faticosamente scritto da un essere umano, non viene letto. Il lavoro di un redattore diventa una breve didascalia, trasformata da un algoritmo senza che chi l’ha scritta ne tragga alcun beneficio.
Esiste una vera strategia?
La domanda diventa inevitabile: che senso ha questa mossa? Google ha davvero una strategia coerente, oppure si muove a tentoni, cercando di rincorrere le novità del momento senza un piano preciso?
Nel caso degli AI Overview, l’azienda aveva un chiaro obiettivo: non perdere il treno dell’intelligenza artificiale generativa. Era una corsa a due, con OpenAI che guadagnava terreno. Integrare la generazione di testo direttamente nei risultati di ricerca era una risposta diretta a una minaccia concreta.
Ma con Discover non c’è nessun OpenAI da combattere. Gli utenti non stanno cercando alternative. Il feed funziona, porta traffico, soddisfa chi legge e chi scrive. Intervenire in un meccanismo che funziona è una scelta difficile da spiegare. Anche perché non è chiaro quale beneficio ne tragga l’utente. Ricevere una sintesi priva di sfumature, emozioni e contesto può al massimo far risparmiare cinque secondi. Ma a che prezzo?
Chi pagherà i contenuti?
C’è poi una questione che sta diventando sempre più urgente: chi finanzierà la produzione dei contenuti nel mondo digitale del futuro? Perché l’intelligenza artificiale non crea nulla dal nulla: impara leggendo, assorbendo, analizzando. Se i contenuti originali non vengono più prodotti, l’AI smette di evolvere. Se i contenuti vengono sfruttati senza compenso, gli editori smettono di produrli.
La situazione inizia ad assomigliare a una macchina che funziona benissimo, ma che nessuno vuole rifornire. I contenuti servono a Google per popolare i propri strumenti. Ma se il traffico verso i siti cala, anche i guadagni degli editori diminuiscono. E se i guadagni diminuiscono, diminuiscono anche le risorse per produrre informazione di qualità.
A quel punto resteranno solo i colossi, quelli che possono permettersi di pubblicare anche in perdita pur di mantenere la visibilità. La pluralità dell’informazione, quella fatta di blog, piccoli giornali locali, testate di nicchia e approfondimenti tematici, rischia di sparire. E con essa la diversità del web, la sua ricchezza culturale, il suo potenziale democratico.
Il futuro incerto degli editori
La trasformazione in atto potrebbe segnare un punto di non ritorno. Google, forse senza volerlo, sta alterando gli equilibri che hanno permesso al web di crescere, evolvere e diventare quello che è oggi. La scelta di introdurre riassunti AI dentro Google Discover non è solo una questione tecnica, ma culturale ed economica.
Non si tratta di essere contrari all’innovazione. L’intelligenza artificiale può essere una risorsa straordinaria. Ma deve essere usata con criterio, rispetto e visione. Usarla per sintetizzare articoli dentro un feed che finora ha garantito pluralismo, traffico e guadagni condivisi, senza prevedere un modello di compensazione per gli editori, è un passo azzardato.
Il rischio è quello di uccidere, lentamente, il tessuto editoriale su cui si basa l’intero ecosistema digitale. E di ritrovarci, tra qualche anno, con un web sempre più vuoto, uniforme e superficiale. Un web che Google stesso troverebbe meno utile. Perché senza contenuti, non c’è neppure nulla da riassumere e niente da vendere.
Se è vero che il 92% degli utenti che usa quotidianamente ChatGPT non paga per i servizi che sfrutta, forse è bene fare qualche riflessione sul modello di business del futuro.