
Cos'è il path tracing, e in cosa è diverso dal ray tracing? (mister gadget.tech)
Non si tratta solo di “ray tracing potenziato”. Scopriamo perché il path tracing rappresenta il sacro graal della grafica nei videogiochi, offrendo un realismo senza precedenti e rivoluzionando il lavoro degli sviluppatori.
Il termine “ray tracing” è ormai entrato nel vocabolario di ogni videogiocatore, ma un nuovo vocabolo si sta facendo strada: “path tracing”. I due concetti sembrano simili e tecnicamente sono imparentati, ma il modo in cui funzionano e i risultati che producono sono profondamente diversi. Non si tratta semplicemente di una versione “migliore” del ray tracing; la differenza tra i due è ciò che separa una scena graficamente bella da una che appare quasi indistinguibile dalla realtà.
Per capire il path tracing, bisogna prima fare un passo indietro. La maggior parte dei giochi utilizza ancora la rasterizzazione, una tecnica veloce ed efficiente che trasforma una scena 3D in un’immagine piatta (2D) per poi riempire i pixel di colore. Il ray tracing, come lo abbiamo conosciuto in questi anni, è un passo avanti: un approccio ibrido che aggiunge effetti di luce più realistici (come ombre e riflessi) a una base ancora rasterizzata. Il path tracing, invece, è un salto generazionale: una simulazione completa e fisicamente accurata della luce.
Indice
Ray tracing vs. path tracing: la differenza fondamentale
Quando si parla di ray tracing nei giochi della scorsa generazione (Battlefield V, Control, etc.), si intende quasi sempre un rendering ibrido. Il motore di gioco traccia un numero limitato di raggi di luce dalla prospettiva della telecamera e calcola come questi rimbalzano una o due volte su una superficie, giusto quel che basta per generare un’ombra realistica o un riflesso accurato su uno specchio d’acqua. Tutti gli altri aspetti dell’illuminazione sono ancora gestiti con tecniche tradizionali.
Il path tracing, invece, è una forma molto più pura e intensiva di ray tracing. Invece di limitarsi a pochi raggi e pochi rimbalzi, simula il percorso completo (path) di milioni di raggi di luce mentre viaggiano e rimbalzano innumerevoli volte all’interno della scena, interagendo con ogni superficie, fino a quando la loro energia non si esaurisce.

La differenza chiave è questa: il ray tracing “classico” è un approccio ibrido che aggiunge effetti specifici a una base rasterizzata, mentre il path tracing è una simulazione completa e unificata del comportamento della luce, che genera naturalmente e in un colpo solo tutti gli effetti: ombre morbide, riflessi complessi e diffusi, illuminazione indiretta (la luce che rimbalza da una parete colorata e tinge debolmente le superfici vicine), occlusione ambientale e altro ancora. Il risultato è un’illuminazione incredibilmente naturale e coerente, a volte spaventosamente fotorealistica.
Il path tracing nei giochi: da sogno a realtà
Fino a poco tempo fa, il path tracing era così esigente in termini di calcolo da essere confinato al mondo del cinema d’animazione e degli effetti speciali, dove ogni fotogramma può richiedere ore per essere renderizzato. L’idea di utilizzarlo in tempo reale in un videogioco era pura fantascienza. Oggi, grazie all’hardware con accelerazione ray tracing dedicata e alle tecnologie di upscaling intelligenti come NVIDIA DLSS, AMD FSR e Intel XeSS, quel muro sta iniziando a crollare.
- Cyberpunk 2077 con la sua modalità “Ray Tracing: Overdrive” è l’esempio più celebre. Attivandola, tutte le opzioni separate per ombre, riflessi e illuminazione vengono sostituite da un’unica voce: “Path Tracing”. L’intero sistema di illuminazione del gioco viene sostituito da questa simulazione completa.
- Alan Wake 2 è un altro titolo che fa un uso massiccio del path tracing per creare le sue iconiche atmosfere cupe e realistiche.

Una rivoluzione per gli sviluppatori
L’impatto del path tracing non si limita alla qualità visiva per il giocatore; è una vera e propria rivoluzione per gli sviluppatori di videogiochi. In passato, per ottenere un’illuminazione realistica, gli artisti dovevano ricorrere a un’infinità di “trucchi” e a un lavoro manuale certosino: posizionare decine di fonti di luce “finte” per simulare i rimbalzi, “cuocere” le mappe di luce (un processo che pre-calcola l’illuminazione statica) e usare altre tecniche complesse per simulare i riflessi.
Con il path tracing, gran parte di questo lavoro viene meno. Per gli sviluppatori, questo significa meno tempo speso in complessi “trucchi” di illuminazione e più tempo da dedicare al game design e alla direzione artistica. Gli artisti possono ora concentrarsi sulla creazione di fonti di luce realistiche (il sole, una lampada, un neon) e sulla definizione delle proprietà fisiche dei materiali, lasciando che sia il motore grafico a simulare come la luce si comporterà naturalmente nel mondo di gioco. Meno “hack”, meno configurazioni manuali e più tempo per la creatività.