La copertura mobile ai concerti è sotto gli standard (mistergadget.tech)
Ogni estate italiana ormai ci regala lo stesso copione. Palazzetti, stadi e arene si riempiono per concerti da decine di migliaia di persone. La musica parte, i telefoni si spengono. O meglio: si accendono, ma diventano inutilizzabili. Foto che non si caricano, storie che non partono, messaggi che rimangono bloccati nel limbo della rete. E mentre tutti si lamentano che “qui dentro non prende niente”, il problema si ripete da anni come se fosse una legge di natura. Ma non lo è. La tecnologia per risolvere c’è, ma resta nei cassetti. E il motivo non è tecnico. È economico e culturale.
Basta prendere alcuni degli eventi recenti per capire di cosa stiamo parlando. Al concerto di Elodie a Milano, così come a quello di Ed Sheeran a Roma e ancora al live di Cesare Cremonini, sempre a Milano, il copione è stato identico: decine di migliaia di persone presenti, con una rete mobile praticamente in ginocchio. Impossibile mandare un messaggio su WhatsApp, caricare una foto su Instagram o persino telefonare. Fin qui, potremmo dire: problema noto.
Ma c’è un aspetto ancora più interessante e più attuale che sta emergendo. La saturazione delle reti mobili ormai manda in crisi anche i servizi digitali secondari che, nel 2025, fanno parte integrante della nostra vita urbana. Parliamo dei servizi di car sharing, ad esempio: i veicoli, non ricevendo il segnale per dialogare con i server centrali, vengono considerati irraggiungibili e quindi risultano indisponibili. E il blackout tecnologico si trasforma in un problema molto più concreto: non puoi nemmeno più tornare a casa.
Quando si parla di congestione delle reti durante i grandi eventi, la prima cosa da chiarire è che le soluzioni esistono e sono ampiamente consolidate. Oggi si può intervenire con sistemi DAS (Distributed Antenna System), che permettono di moltiplicare la capacità trasmissiva in aree circoscritte, oppure si possono usare le small cell, piccole antenne che creano micro-aree di copertura dedicata.
In alternativa, ci sono i COW (Cell On Wheels), vere e proprie stazioni radio mobili che si piazzano temporaneamente nei pressi dell’evento. Tecnologie mature, utilizzate da anni nei paesi più avanzati.
Il problema? Da noi restano quasi sempre teoriche. Gli operatori le conoscono perfettamente, e in alcuni casi le hanno pure testate, ma nella pratica quotidiana di concerti, partite e grandi eventi le reti temporanee rimangono una rarità. A volte per costi, a volte per burocrazia, quasi sempre per un mix letale dei due.
Un esempio concreto di quanto le soluzioni ci siano, ma non trovino mai una piena applicazione, arriva da TIM e INWIT. Nel 2020 avevano annunciato un progetto molto ambizioso: 100 small cell da installare a Milano e Genova, addirittura infilate sotto ai tombini per garantire copertura anche nelle aree storiche e vincolate.
All’epoca sembrava l’inizio di una rivoluzione, una prima applicazione concreta del 5G denso di cui tanto si parla. E invece, a distanza di cinque anni, di queste small cell si è persa traccia nei grandi eventi pubblici. Nessun riscontro di attivazioni effettive in contesti come concerti o stadi.
Un’altra realtà importante è Cellnex, che attraverso l’acquisizione di CommsCon aveva ereditato infrastrutture DAS già operative in luoghi strategici, come San Siro e l’Allianz Stadium di Torino. Stando ai dati ufficiali del 2019, Cellnex dichiarava di gestire circa 1.500 nodi multi-operatore in Italia, tra stadi, centri commerciali, ospedali e altre strutture complesse. Ma anche qui, quando si osservano sul campo eventi da decine di migliaia di persone, il problema della saturazione continua a presentarsi esattamente come prima.
Quindi, pur avendo una base tecnologica che potrebbe essere estesa e adattata ai picchi di traffico, l’utilizzo reale sembra ancora molto limitato. Gli impianti esistono, ma o non vengono attivati, o non sono sufficienti, o semplicemente non sono pensati per eventi di questa portata.
Qui entriamo nella vera radice del problema italiano. Installare un sistema DAS o predisporre small cell per eventi temporanei non è economicamente banale. Significa mettere mano a progettazione, logistica, installazione, collaudo, autorizzazioni amministrative e infine gestione operativa. Il tutto per eventi che durano uno o due giorni. Chi deve sostenere questa spesa? L’organizzatore? L’operatore? Il Comune? Nessuno vuole essere quello che si carica il costo sulle spalle.
In Italia, peraltro, gli operatori mobili lavorano su margini ridottissimi. Le tariffe mensili sono tra le più basse d’Europa. I piani all inclusive da 7 o 10 euro al mese che tanto amiamo pagare hanno un prezzo: gli investimenti infrastrutturali sono ridotti al minimo indispensabile.
Non è un caso che, negli Stati Uniti o in Giappone, dove gli abbonamenti mobili costano il triplo o il quadruplo rispetto all’Italia, i grandi eventi riescano a gestire flussi di decine di migliaia di utenti senza intoppi. Lì ci sono budget e margini per investire nelle reti. Da noi si fanno miracoli quotidiani con budget da discount.
A complicare ulteriormente la situazione c’è la burocrazia. Ogni volta che un operatore vuole installare un’antenna temporanea o ampliare la capacità in uno stadio, deve confrontarsi con una selva di autorizzazioni comunali, regionali e nazionali.
Tra normative sui limiti elettromagnetici, vincoli architettonici, enti locali che devono esprimere pareri, e la classica tempistica italiana da “torni domani”, spesso i tempi burocratici superano la durata stessa dell’evento. Il risultato è che molti operatori, per evitare grattacapi, preferiscono non intervenire proprio.
Pensiamo ad esempio al tema dei limiti elettromagnetici: il governo ha cambiato la legge ormai da tempo, ma sono partiti così tanti ricorsi che le potenze non sono praticamente mai state ritoccate. Basta superare il confine con la Svizzera per trovare il 5G a fondo scala anche in cantina, da noi il primo muro che si incontra dimezza il segnale. Non è solo questione di dislocazione delle antenne e di progettazione della rete, ma anche e soprattutto di potenza di emissione.
A rendere tutto ancora più frustrante, c’è il fatto che ottenere informazioni precise dagli operatori è praticamente impossibile. Provare a chiedere a TIM, Vodafone, WindTre o Iliad se e come gestiscono la rete durante i grandi eventi è un esercizio di pazienza.
Raramente arrivano risposte puntuali. Quasi mai si riesce ad avere una fotografia chiara delle infrastrutture temporanee attivate, dei sistemi DAS in funzione, delle small cell installate. Un blackout informativo che alimenta il sospetto che, in fondo, si faccia il minimo indispensabile sperando che la rete regga.
Viene spontaneo pensare che l’arrivo del 5G possa finalmente risolvere il problema. Ma non è così semplice. Molte delle reti 5G italiane sono ancora in modalità non standalone, cioè appoggiate alla rete 4G per la gestione del traffico.
Solo il 5G standalone, con l’utilizzo di bande millimetriche e una densità elevata di celle, potrebbe offrire quella capacità esplosiva necessaria per assorbire il traffico simultaneo di migliaia di persone nello stesso luogo. Ma anche in questo caso si torna sempre al solito nodo: servono soldi. E, soprattutto, serve una volontà precisa di investire laddove oggi prevale il criterio della sopravvivenza economica.
Così, ogni grande evento diventa la fotografia perfetta della fragilità strutturale del nostro sistema mobile. Mentre i palazzetti e gli stadi si riempiono, le reti si svuotano. Le chiamate non partono, i messaggi non arrivano, le storie non si caricano. E ora, sempre più spesso, anche i servizi collaterali vanno in crisi: car sharing, taxi app-based, monopattini elettrici. Tutto dipende dalla rete, e quando la rete collassa, l’intero ecosistema urbano ne subisce le conseguenze.
La verità è semplice: pretendiamo prestazioni da Corea del Sud pagando tariffe da terzo mondo. In Corea pagano 30 o 40 euro al mese e hanno reti capaci di gestire eventi da 80.000 persone senza battere ciglio. In Italia ci illudiamo che con 7 euro mensili ci debba comunque spettare lo stesso servizio. Ma la matematica non mente.
La qualità della rete è figlia diretta degli investimenti. E gli investimenti sono figli dei ricavi. Se non cambiamo mentalità, il problema resterà identico anche per il prossimo tour di Ed Sheeran o per il prossimo grande evento di Piazza Duomo.
Il rischio è di rimanere nella stessa condizione di alcune zone italiane con la banda ultra-larga: riusciremo mai a trovare il giusto equilibrio tra costo e qualità del servizio? E’ una questione di scelte. ma il rischio di continuare ad andare un concerto senza poter usare il telefono per un lunghissimo periodo è altissimo.
L'estate porta una bella novità per chi ha intenzione di cambiare i vecchi elettrodomestici con…
Esselunga fa di nuovo centro, rendendo felici i suoi clienti con un volantino imperdibile che…
Le Android Instant Apps verranno disattivate a partire dal prossimo anno: Google ammette il fallimento…
Una preoccupante allerta sta circolando in queste ore riguardo ad alcune applicazioni presenti sui nostri…
Molti possessori di iPhone non sanno di avere a portata di mano un'opportunità davvero notevole:…
HUAWEI MatePad Pro 12.2" 2025 arriva in Italia: display OLED, WiFi 7 e app creative.…