DOOM: fenomeno immutabile – Come sopravvive da oltre 30 anni alla concorrenza? (mistergadget.tech)
Mentre “Doom: The Dark Ages” sta per spalancare nuovamente i portali dell’Inferno, analizziamo la straordinaria longevità di una saga che ha definito un genere e continua a dettare legge nell’olimpo degli FPS.
Il portale interdimensionale verso l’Inferno si sta aprendo. Di nuovo. Con Doom: The Dark Ages in arrivo oggi (o tra pochissimo per tutti), è il momento perfetto per contemplare le medaglie al valore dello Slayer. In quasi 32 anni, l’iconico Space Marine non ha mai smesso di annientare orde di creature demoniache, con un unico mantra scolpito nel cranio: “Niente può fermarmi, sono il migliore”.
Il 10 dicembre 1993, il cosiddetto Doomguy sbarcava su Phobos, una delle due lune di Marte. La sua missione? Rispedire creature infernali da dove erano venute: l’Inferno. Sebbene l’obiettivo del soldato sia rimasto sostanzialmente invariato per oltre tre decenni di avventure videoludiche (il che potrebbe far pensare a una certa mancanza di efficienza a lungo termine!), la serie ha saputo costantemente adattarsi per sorprendere nemici e giocatori. Di fronte a un compito di difficoltà incommensurabile, lo Slayer (e id Software) ha subito capito che la staticità lo avrebbe condotto a una morte certa, non solo nel gioco, ma anche nel mercato. Ripetere la stessa musica, con le stesse note e le stesse pause, non avrebbe avuto senso.
La melodia intonata da id Software nel 1993 provocò un frastuono indiavolato. Fu ripresa in coro da eserciti di fedeli – giocatori e sviluppatori – pronti a seguire il Doomguy ovunque si scatenasse la sua furia. All’uscita del primo episodio, fu una rivoluzione. Nonostante alcuni addetti ai lavori lamentassero meccaniche ripetitive e un gameplay evolutosi relativamente poco da Wolfenstein 3D, la stampa fu complessivamente soggiogata. “Il gioco più impressionante dell’anno”, si leggeva da una parte; “un gioco gigantesco, una meraviglia di tecnica e atmosfera”, dall’altra. La produzione di id Software divenne un punto di riferimento tale da dare il nome a un intero genere: il “doom-like”.Dal suo primo giorno di commercializzazione, Doom incassò 100.000 dollari, raggiungendo molto rapidamente il milione. John Romero, John Carmack, Adrian Carmack e Tom Hall, i quattro geni di id Software, non poterono che rimanere sbalorditi dall’entusiasmo suscitato dalla loro creazione.
Ma cos’è Doom, fondamentalmente? All’inizio degli anni ’90, è uno sparatutto in prima persona adrenalinico, in cui il giocatore raccoglie un arsenale di armi, munizioni e bonus per sconfiggere avversari tanto numerosi quanto potenti. Si attraversano livelli labirintici alla ricerca di chiavi colorate per sbloccare nuove aree, gestendo al contempo salute e armatura. Il suo gameplay nervoso, gli effetti gore, l’atmosfera sonora martellante, l’elevata rigiocabilità (grazie alle zone segrete) e il multiplayer lo hanno consacrato definitivamente nella leggenda.
Appena un anno dopo, nel 1994, lo studio pubblica Doom II: Hell on Earth. Questa volta, lo Slayer torna sulla Terra per annientare le creature sanguinarie che hanno trasformato la culla dell’umanità in un bagno di sangue. Pur non rivoluzionando la formula, il gioco migliora tutto il possibile: appare il Super Shotgun, i nemici sono più vari, la grafica più dettagliata, il level design più ampio con passaggi più aperti, il multiplayer rivisto e corretto… la lista è lunga. Anche questo titolo incontra un successo clamoroso, provocando una vera e propria “Doom mania”. Persino Bill Gates si affida al software di id Software per promuovere il suo Windows 95!
A metà degli anni ’90, il “doom-like” si democratizza sulle console, in particolare su Nintendo 64, dove titoli come GoldenEye 007 e Turok: Dinosaur Hunter fanno faville. È nel marzo 1997 che Doom 64 arriva sulla macchina del produttore giapponese. Sfortunatamente, il titolo rimane ancorato a una “comfort zone” che inizia a far storcere il naso agli appassionati. In un’epoca in cui i giochi si evolvono alla velocità della luce, la stampa inizia a lamentare l’immobilismo della licenza, pur riconoscendone la qualità intrinseca.
Sono passati 5 anni dalla nascita di Doom, e il suo eroe non ha ancora altro obiettivo che aprire porte con chiavi colorate, senza poter saltare o mirare liberamente in verticale! Nel momento in cui GoldenEye 007 introduceva obiettivi vari (che cambiavano in base alla difficoltà) e danni localizzati impressionanti, Doom 64 sembrava già appartenere a una generazione precedente. Sviluppato senza John Romero, questo episodio fa prendere coscienza a id Software della necessità di prendere il demone per le corna e rielaborare profondamente la formula.
Mentre si crogiolava nel fuoco del purgatorio videoludico, la saga entra improvvisamente in letargo. Dopo un ritmo infernale di uscite con tre giochi lanciati in meno di quattro anni (dal 1993 al 1997), Doom rallenta il passo. I fan degli FPS sono rimasti a bocca aperta per la grafica di Far Cry? Allora l’id Tech 4 dovrà fare di meglio! Gli amanti del genere hanno subito uno shock con l’avventura scriptata di Half-Life? Doom 3 metterà da parte il suo lato “sparatutto ignorante” a favore di un’immersione viscerale! Sì, per rimanere rilevante in un settore in cui i punti di riferimento cambiano rapidamente quanto le mappe 3D, il franchise sceglie di non arroccarsi più sulle sue posizioni.
Quando Doom 3 arriva nell’agosto 2004, sorprende tutti. Non solo il software abbandona la sua filosofia old-school, ma si spinge particolarmente lontano nelle meccaniche del survival horror, anche a costo di destabilizzare critica e appassionati. Volendo immergere il giocatore in una storia terrificante, angosciante e oscura, id Software impone – nella prima versione del gioco – di destreggiarsi tra una torcia elettrica e l’arsenale. In altre parole, bisogna costantemente scegliere tra illuminare le tenebre o estrarre l’arma per affrontare una minaccia. La sua grafica sontuosa mette in risalto effetti spettacolari, mentre la narrazione è approfondita attraverso documenti da consultare. Inoltre, è finalmente possibile saltare e mirare liberamente. Meglio tardi che mai! Mantenendo il lato labirintico dei capitoli precedenti pur abbracciando i codici del survival horror narrativo, Doom 3 sorprende e riceve ottime recensioni.
Il terzo episodio “canonico” fa tuttavia capire ai suoi sviluppatori che, con un franchise così noto, è molto difficile accontentare i fan più accaniti evolvendosi abbastanza da rimanere al passo con i tempi. Passato sotto l’egida di Bethesda, lo studio pensa a un seguito di Doom 3 senza riuscire a trovare la giusta direzione. Secondo varie voci di corridoio, id Software avrebbe tentato di prendere in prestito idee da Call of Duty, diventato nel frattempo il benchmark degli FPS, senza però trovare una quadra convincente. Piuttosto che scimmiottare i concorrenti, Doom preferirà puntare a un ritorno alle origini. Dopo uno sviluppo caotico (e la partenza di John Carmack nel 2013), è finalmente nel 2016 che DOOM (il reboot) fa il suo trionfale ritorno.
Qui, la velocità di movimento è elevatissima, e non ci sono solo salti, ma anche doppi salti! La meccanica delle “Glory Kill” (Esecuzioni Epiche) fa faville: quando il giocatore indebolisce sufficientemente un nemico, può finirlo con un’esecuzione brutale che restituisce salute, premiando così l’aggressività. Le armi, potenti, hanno mod alternative che permettono di approfondire il gameplay, ed è possibile far evolvere armi e armatura. Anche in questo caso, id Software sa reinventarsi, proponendo una formula che piace a tutte le generazioni di giocatori. Di fronte al successo di critica e commerciale, Bethesda scatena nuovamente i segugi dell’Inferno con Doom Eternal nel 2020. Il lanciafiamme fa la sua comparsa e permette di recuperare punti armatura, mentre lo scatto (dash) gioca un ruolo cruciale sia durante i combattimenti che nelle (numerose) fasi platform. Doom Eternal vuole essere più verticale, più veloce, e anche più strategico, poiché i nemici richiedono armi e approcci specifici per essere abbattuti.
Se Doom è ancora in piedi oggi, e la licenza suscita così tanto interesse dopo più di 30 anni di esistenza nonostante la folta concorrenza, è semplicemente perché id Software ha saputo adattarsi alle molteplici evoluzioni del medium, portando sempre qualcosa che gli altri non facevano. Tecnicamente impeccabile (o quasi), il franchise non ha paura di stravolgere le meccaniche del suo gameplay da un episodio all’altro, il che è di per sé un atto di coraggio.
Le nostre recenti 20 ore di gioco trascorse su DOOM: The Dark Ages (in uscita proprio oggi, 15 maggio 2025) ci mostrano che lo studio è nuovamente uscito dalla sua comfort zone per integrare elementi mai visti nella serie: combattimenti a bordo di Mecha, sequenze sul dorso di un drago, mondi più aperti e varie meccaniche che ruotano attorno a un letale scudo-motosega. Il suo gameplay è anche più “radicato” al terreno rispetto a quello di Eternal, mentre il numero di mostri su schermo contemporaneamente non è mai stato così alto. Doom, ancora una volta, si reinventa per rimanere il Re indiscusso dell’ultra-violenza.
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